L’arte della guerra

Il 24 e 25 gennaio scorso si è svolto a Roma un convegno su Machiavelli Il Pensiero della Crisi. Nicolò Machiavelli e il Principe – in onore del cinquecentenario dall’uscita del famosissimo trattato di Machiavelli, Il principe. Gabriele Pedullà, professore di letteratura italiana all’università di Roma III, ha introdotto il convegno con una conferenza su un altro testo di Machiavelli, Dell’arte della guerra, assai meno noto, ma molto significativo. L’intervento di Pedullà è uscito sul Manifesto. Ne riportiamo qualche brano.
“Apparsa a stampa nel 1521, l’Arte della guerra è la più ardua delle opere politiche di Niccolò Machiavelli. Non solo Machiavelli parla di una cosa che conosciamo poco e che non ci riguarda più (le pratiche militari classiche e di primo Cinquecento), ma ci chiede di seguirlo in discussioni assai minute sulla forma delle armi, l’ordine dell’esercito in battaglia, la disposizione dell’accampamento. … A conti fatti, l’Arte della guerra è un’opera «tecnica», dicono gli studiosi, e l’aggettivo porta in questo caso con sé una connotazione negativa, per tecnica intendendo la negazione della prospettiva politica.
È possibile però vedere le cose anche in maniera molto diversa, dando un valore positivo a questa parola. La nuova tecnicità dell’Arte della guerra ha implicato infatti da parte dell’autore un enorme sforzo a precisare, correggere, integrare le intuizioni di argomento affine già contenute nel Principe e dei Discorsi …
Probabilmente la maggiore novità dell’Arte della guerra nella storia della teoria bellica è il ruolo straordinario che nelle sue pagine viene attribuito alla dimensione tattica, ovvero al dispiegamento e ai movimenti delle truppe. Ma tattica, al di là dell’etimologia, vuol dire anzitutto una diversa scala operativa, più attenta ai modi in cui reagiscono in battaglia le piccole unità e in cui la loro capacità di reazione e di coordinamento condiziona l’esito dello scontro. Il Manifesto.

L’arte della pace

Marianella Sclavi è una sociologa che si occupa di gestione creativa dei conflitti e e collabora da anni a progetti di risanamento dei quartieri in crisi. Ecco quel che dice a proposito dei conflitti interetnici:

Marianella Sclavi, si possono risolvere pacificamente  i conflitti interetnici?
«La risposta è sì. Si possono risolvere pacificamente e creativamente i conflitti interetnici e anche tutti gli altri. Ma per riuscirci bisogna, in primo luogo, aver chiaro che il conflitto non è un errore, un incidente, una disgrazia, ma una normale parte della vita. I problemi nascono dal modo in cui esso viene recepito e gestito. Se lo si considera un’occasione per crescere, per apprendere, la sua valenza è positiva. Se non c’è conflitto la pace diventa eterna e coincide con la morte. La pace vitale, che è quella che deve interessarci, è data dalla gestione creativa del conflitto. Tentare a tutti i costi di evitare i conflitti è una strategia molto comune. Sul breve periodo può anche essere efficace, ma sul medio e sul lungo è controproducente: impedisce alla complessità di emergere e quindi quel passaggio dialettico che permette l’apprendimento e l’evoluzione positiva. Noi siamo abituati ad avere un’idea negativa del conflitto perché lo associamo alla violenza. Ma la violenza, con il suo carico di intimidazione e dolore, è solo un modo sbagliato di gestire il conflitto».  Corriere della Sera.

Uso della lingua
interetnico: è un nuovo aggettivo che significa relativo a diverse etnie o ai rapporti tra diversi popoli
controproducente: un’azione il cui risultato si rivela opposto alle previsioni

Gli italiani e il loro passato

A proposito dei bestseller di Dan Brown sul Codice Da Vinci o sull’Inferno di Dante, l’editorialista della Stampa Massimo Gramellini si chiede,
“Perché i miti del passato italiano affascinano gli scrittori e i registi stranieri, ma non i nostri? Per quale ragione il passato che affascina e stimola la curiosità e l’ammirazione di turisti cinesi e best-selleristi americani ci risuona così pigro e indifferente? Perché rifiutiamo di essere il gigantesco museo a cielo aperto, arricchito da ristoranti e negozi a tema, che il mondo vorrebbe che fossimo?”

E dà questa risposta,
“L’antica Roma e il Rinascimento, incanti da esplorare per chi vive al di là dell’Oceano, per noi che ci abitiamo in mezzo si riducono a scenari scontati: le piazze del Bernini sono garage e il Colosseo uno spartitraffico. O è la scuola che, facendone oggetto di studio anziché di svago, ci ha reso noioso ciò che dovrebbe essere glorioso. Ma forse … la scuola c’entra relativamente: siamo noi che, per una sorta di imbarazzo difficile da spiegare, ci ostiniamo a fuggire dai cliché – sole, ruderi, arte e buona tavola – a cui il mondo vuole inchiodarci per poterci amare e invidiare.

L’Italia capitale universale della bellezza e del piacere è l’unico Paese che può scampare al destino periferico che attende, dopo duemila anni di protagonismo, la stanca Europa. Ma per farlo dovrebbe finalmente accettare di essere la memoria di se stessa. Serve una riconversione psicologica, premessa di quella industriale. Serve un sogno antico e grande, mentre qui si continua a parlare soltanto di spread”.  La Stampa.

Uso della lingua e note culturali
si riducono, ridursi: diminuire di valore
inchiodare, in senso figurato significa fissare, bloccare
scampare, fuggire a un pericolo
Bernini,  è stato uno scultore, architetto e pittore italiano, nato a Napoli nel 1598 e morto a Roma nel 1680. Tra le sue numerosissime opere c’è Piazza San Pietro di Roma.

Caro Presidente, un rapper arabo scrive a Napolitano

 

Molte testate tra le quali il Corriere.it, hanno dato risalto alla notizia di Amir il rapper di origine egiziana che ha voluto riportare all’attenzione dell’opinione pubblica e della classe politica la questione dello ius soli e del diritto di cittadinanza per i figli nati in Italia da genitori stranieri. Amir lo ha fatto a modo suo, con un rap lanciato anche su twitter sotto l’hashtag caropresidente e una petizione da firmare on line.Il Il Corriere lo ha pubblicato. Corriere.it 
Queste sono le parole con cui si apre il rap rivolto a Napolitano. Vi invitiamo a leggerlo e ad ascoltarlo:.
Caro Presidente,
mi chiamo Amir e sono un rapper che più volte nelle sue canzoni ha dato voce ai ragazzi di seconda generazione. Nonostante io abbia la cittadinanza da sempre (mia madre è italiana), molte volte sono stato considerato uno straniero per via delle mie origini egiziane. Il problema oltre ad essere legislativo è culturale, dovrebbe cambiare la percezione di come è fatto un Italiano nel 2012: non è necessariamente “bianco” ma può essere di carnagione scura, avere occhi a mandorla, avere capelli afro…
Grazie,
Amir
 
Sora24

Uso della lingua
ius soli: il diritto al suolo, il diritto di ottenere la cittadinanza per chi nasce sul suolo di uno stato. Questo diritto e’ applicato negli Stati Uniti ma non Italia.
gli occhi a mandorla: In italiano spesso si usa quest’espressione quando si parla delle persone asiatiche. L’espressione non ha nessuna connotazione derogatoria.

Elogio di una donna imperfetta

Per ricordare la grande scienziata Rita Levi-Montalcini, morta a 103 anni il 30 dicembre scorso, riportiamo il post della giornalista scientifica Daniela Ovadia che la conobbe.
Non amo i coccodrilli, né le agiografie post mortem. Eppure sento di dover scrivere qualche riga in memoria di Rita Levi-Montalcini, se non altro perché, avendo conosciuto da vicino una parte della sua famiglia torinese, ho avuto la fortuna di poter ridere alle sue spalle. Sì, proprio così: mi sono permessa, da ragazzina, di ridacchiare di quella che era già diventata una star della scienza dopo aver ricevuto il premio Nobel per la scoperta dell’NGF.
Ho infatti frequentato la casa di alcune sue cugine che, con l’understatement tipico di un certo ebraismo piemontese, godevano sottilmente nel raccontare, alla giovane appassionata di scienza che ero allora, tutti i pettegolezzi e piccole meschinerie di cui la grande Rita si sarebbe macchiata nei suoi anni acerbi, spinta, dicevano loro, da un’ambizione smisurata, che le permise di superare il doppio handicap di essere donna e appartenente a una minoranza religiosa (seppure solo nominalmente, poiché si è sempre fieramente dichiarata laica e atea) contro la quale l’Italia aveva promulgato le leggi razziali.
Quando, molti anni più tardi, mi capitò di intervistarla (l’ultima volta per l’inaugurazione dell’EBRI, lo European Brain Research Institute che doveva essere il luogo d’eccellenza della ricerca neuroscientifica in Italia) non osai dirle che conoscevo di lei un lato familiare e forse meno brillante di quello che mostrava all’esterno, ma che me la rendeva tanto più simpatica e umana. …
Alle donne di scienza la Montalcini ha fatto un altro regalo, tutt’altro che scontato: ha detto che è lecito essere geniali e vanesie allo stesso tempo, lei che non si faceva fotografare se non con i capelli candidi e perfettamente a posto, il vestito con la piega giusta, quei colletti così anacronistici e i gioielli che amava molto. Molto prima di qualsiasi maldestro spot della Comunità Europea per convincere le donne che si può fare lo scienziato con il tacco 12, lei vestiva solo Capucci: se questa non è classe… Le Scienze (Espresso/Repubblica)

Uso della lingua
coccodrillo: qui non si allude al feroce rettile. Il coccodrillo è un termine giornalistico che significa necrologio, l’articolo che si scrive in occasione della morte di una persona importante
vanesio: frivolo, leggero
agiografie post mortem: agiografia significa lode esagerata, post mortem, dopo la morte in latino
spot della Comunità Europea: la giornalista qui allude al video dell’Unione europea “Science: It’s a Girl Thing” per promuovere la ricerca al femminile. Questo spot è stato poi tolto dalla rete perché ritenuto sessista e di cattivo gusto
Capucci: è un noto stilista italiano

Il titolo del nostro post e del post di Daniela Ovadia, “Elogio di una donna imperfetta“, allude al titolo di un noto libro di Rita Levi-Montalcini, Elogio dell’imperfezione (Dalai editore).