Il romanesco di oggi

A Roma, come nel resto del mondo, il linguaggio dei giovani è in continuo fermento e si nutre inevitabilmente del dialetto locale ma con una quota aggiuntiva di fantasia e creatività. «Scialla», dopo il fortunato e intelligente film scritto e diretto nel 2011 da Francesco Bruni, significa per tutti «stai sereno», se ne occupò anche l’Accademia della Crusca costretta a fare i conti con la contemporaneità.

Ma basta mettersi in ascolto davanti ai licei, aspettando figli in uscita, o ai semafori in motorino (la reattività romanesca di fronte a ogni evento è proverbiale) per ascoltare ondate di neologismi in un vernacolo adolescenziale rivisto nel secondo decennio del terzo millennio. E scoprire che «ciotto» significa «carino», «fare rate» indica «fare schifo» e «piottare» definisce un’andatura velocissima. Se si cerca ospitalità si usa il termine «imboccare» («Chi mi fa imboccare a casa sua oggi?»).

Il romanesco, insomma, è vivissimo anche come materia letteraria. È uscito da Mondadori l’ultimo bel libro di Eraldo Affinati, «Tutti i nomi del mondo», resoconto-bilancio dell’esperienza dello scrittore come insegnante di italiano nella scuola per immigrati «Penny Wirton», dove il protagonista-docente si confronta con un ex alunno, Ottavio, che si esprime solo in romanesco. Paolo Conti, Il Corriere.

L’abito fa il monaco?

Arriva per tutti e per tutte il momento in cui ci si guarda allo specchio e non ci si sente più esattamente a proprio agio con T-shirt e scarpe da ginnastica? A un certo punto capita anche ai più agguerriti nemici della camicia e delle scarpe comode a tutti i costi. Che sia un matrimonio, la laurea o il primo colloquio di lavoro, un armadio zeppo di felpe e jeans dovrebbe essere etichettato se non inadeguato, almeno insufficiente.

La moda è uno degli indicatori più interessanti per studiare i cambiamenti della società democratiche e contemporanee. È ambivalente, perché da una parte sottolinea i confini, dall’altra li sposta di continuo. E così provoca il cambiamento. Si segue per distinguersi, ma è un’originalità sempre mediata dalla volontà di restare in un gruppo riconoscibile. «Un esempio semplice di cambiamento è l’identità di genere. I reparti uomo e donna sono ancora separati, ma la moda unisex sottolinea la progressiva fine dei confini tra i ruoli – spiega Gaia Peruzzi, professore in Sociologia dei processi culturali alla Sapienza di Roma -. I professori universitari si presentavano a lezione solo in giacca e cravatta, oggi non è più così. … Nadia Ferrigo, La Stampa.

Esercizi

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