La fatica di essere Oliver

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Un triste Ferragosto per Oliver. Ce lo racconta Massimo Gramellini dalla sua rubrica  “Il caffè” dando una voce al povero cavallo.

Mi chiamo Oliver e mi guadagno da vivere al porto di Messina. Ogni giorno, di inverno come d’estate, uomini e donne dagli accenti più strani scendono dalle navi che attraccano al molo. Appena prendono posto sul carretto, io comincio a correre e a sbuffare. Non è solo per il peso, che pure sfonderebbe un mulo. A darmi questa sensazione continua di stordimento è l’asfalto: sdrucciolevole d’inverno e rovente d’estate. Il viaggio è un inferno, ma non conoscendone altri, a volte lo confondo con il paradiso.
Il datore di lavoro sa essere gentile, a modo suo. E le persone si mettono in posa accanto al mio profilo accaldato per scattare fotografie. Mi guardano sudare e sorridono. Mi accarezzano, soprattutto i bambini. Ho l’impressione che nessuno si accorga della fatica che faccio. Nulla è più faticoso del mettersi nei panni di qualcun altro.
In questi giorni d’agosto le temperature dell’aria e del terreno avrebbero suggerito una vacanza. Invece bisogna lavorare.
Sono già svenuto varie volte, eppure so che questa sarà diversa. Sono appena caduto sul pavimento bollente di via Garibaldi, una mano amorevole mi irrora la pelle con un getto d’acqua fredda, ma è tardi.
Mi chiamavo Oliver e mi guadagnavo da vivere al porto di Messina, trascinando i carretti dei turisti sotto il solleone. Morire così è un’ingiustizia che grida al cielo. Anche a quello di noi cavalli dove adesso mi ritrovo a galoppare, finalmente leggero. Il Corriere

Uso della lingua

Mi chiamavo e mi guadagnavo: spesso il tempo imperfetto si usa in contrasto con il presente per indicare un qualcosa che non avviene più.

Pronomi riflessivi e non: nell’articolo si fa molto uso di verbi riflessivi, ma non tutti i pronomi presenti sono riflessivi alcuni sono pronomi oggetto. Sapete riconoscerli?

L’amica geniale

L-amica-genialeL’amica geniale è il titolo complessivo della tetralogia scritta da Elena Ferrante (E/O) e del primo volume di essa. Percorre sessant’anni della storia di due amiche, dagli anni ’50 a oggi. Molti dei romanzi di Elena Ferrante sono stati tradotti in inglese da Ann Goldstein e stanno ottenendo un notevole successo negli Stati Uniti. Elena Ferrante è uno pseudonimo dietro il quale non si sa chi si celi, probabilmente una donna (ma non è certo), sicuramente napoletana. Elena Ferrante non ha mai voluto comparire in pubblico e rilascia pochissime interviste, e solo scritte. Paolo di Stefano l’ha intervistata per “la Lettura”, l’inserto culturale domenicale del Corriere della Sera. Riportiamo un brano dell’intervista in cui l’autrice parla delle intenzioni del romanzo e dell’uso – indiretto – che fa del dialetto napoletano.

Elena Ferrante, in che modo ha maturato il passaggio da un tipo di romanzo psicologico-familiare (vedi i primi romanzi «L’amore molesto» e «I giorni dell’abbandono») a un romanzo, come questo, che promette di essere multiplo (il primo di una trilogia o quadrilogia)?

«Non sento questo romanzo tanto diverso dai precedenti. Parecchi anni fa mi venne in mente di raccontare l’intenzione di una persona anziana di sparire — che non significa morire —, senza lasciare traccia della propria esistenza [il romanzo inizia con la sparizione di una delle due protagoniste, n.d.r]. Mi seduceva l’idea di un racconto che mostrasse quanto è difficile cancellarsi, alla lettera, dalla faccia della terra. Poi la storia si è complicata. Ho introdotto un’amica d’infanzia che facesse da testimone inflessibile di ogni piccolo o grande evento della vita dell’altra. Infine mi sono resa conto che ciò che mi interessava era scavare dentro due vite femminili ricche di affinità e tuttavia divergenti. Alla fine è ciò che ho fatto. Certo, si tratta di un progetto complesso, la storia abbraccia una sessantina d’anni. Ma Lila e Elena sono fatte con la stessa pasta che ha nutrito gli altri romanzi».

Lei cede di rado al colore dialettale: lo fa in poche battute, ma di solito preferisce la formula «lo disse in dialetto». Non ha mai avuto la tentazione di una coloritura più espressionistica?

«Da bambina, da adolescente, il dialetto della mia città mi ha spaventata. Preferisco che echeggi per un attimo nella lingua italiana, ma come se la minacciasse».  Corriere della Sera.

Si veda anche il bell’articolo di James Wood sul New Yorker.

Uso della lingua

Che cosa significa “essere fatti della stessa pasta“? Provate a spiegarlo in italiano.

Note culturali

L’Italia è sempre stato un paese multilingue. Ancor oggi molti conoscono il dialetto e lo usano in famiglia o in contesti informali. Ancor oggi il dialetto si mescola all’italiano (così come vi si mescola l’inglese). Lingua e dialetto si trovano di frequente in un rapporto di tensione tra loro. In Ferrante il dialetto – napoletano – non compare se non raramente, ma nel romanzo se ne parla spesso, e di solito viene associato a un mondo violento, legato a usi antiquati, tribali.

Grammatica

L’articolo contiene i seguenti verbi. Come puoi vedere si tratta di verbi rfilessivi, passivi e impersonali. Prova a trovarli nel testo. Se non ci riesci clicca qui:Elena Ferrante – verbi

cancellarsi, mi sono resa conto; si tratta; si racconta; Si sovrappongano; aiutarsi; saccheggiarsi, rubarsi, levarsi; si riesca (o si riuscisse); si cresce; si parla; ci serviamo; si è mai pentita; si soffermano sia inscritto; si tira; si modifichi;

Se non ci riesci puoi aiutarti cliccando qui:Elena Ferrante – verbi