Idrissa, il “nuovo italiano” che dice: “l’Italia non è anche mia solo quando mi fa comodo, lo è pure quando rischia di crollare»

Tra i tanti articoli che in questi giorni documentano drammaticamente la sofferenza, il coraggio e  lo spirito con cui gli italiani stanno affrontando questo momento, ne scegliamo alcuni che ci piacerebbe serbassero nel futuro il ricordo di questo volto del nostro paese.
Ci sembra che la storia di Idrissa rappresenti una di queste belle testimonianze.

 

Idrissa, il “nuovo italiano” che dice: "l’Italia non è anche mia solo quando mi fa comodo, lo è pure quando rischia di crollare»

Idrissa Idris Kane, originario della Mauritania lavora tutti i giorni in un’azienda del settore farmaceutico e alimentare di Milano. Una di quelle che non può chiudere e non deve chiudere.

ROMA – Idrissa lavora tutti i giorni per un’azienda del settore farmaceutico e alimentare di Milano. Una di quelle che non può chiudere e non deve chiudere. «Ogni mattina rilevazione della temperatura, mascherina quasi per tutto il giorno, regole comportamentali che cambiano ogni due secondi, ma non ho mai pensato di mollare». Idrissa Idris Kane è un “nuovo italiano”, uno dei tanti immigrati che continuano a lavorare in piena emergenza coronavirus, fianco a fianco con i colleghi operai italiani. «Non mollo perché l’Italia non è anche mia solo quando mi fa comodo. L’Italia è anche mia, pure quando rischia di crollare». Il suo post su facebook sta facendo il giro della rete.

“Tornatene al tuo Paese!”. «Quante volte ho sentito, abbiamo sentito in questi ultimi anni: “torna al tuo Paese”, “l’Italia agli italiani”, “non esistono neri italiani”, “portate malattie”. Giuro che mi è capitato di voler mollare tutto e andarmene (e sono sicuro che tanti come me hanno pensato la stessa cosa). Ma poi mi sono detto: perché dovrei ascoltare il delirio di qualche idiota? Mica rappresenta tutti gli italiani. Mi metto a pensare a tutte quelle belle persone che in questi anni hanno lottato con noi, mi hanno mostrato affetto, rispetto, amore e mi sono convinto di non ascoltare più le voci dei cretini. Oggi la situazione è preoccupante, la situazione è pericolosa, abbiamo le stesse paure, abbiamo gli stessi timori, abbiamo lo stesso augurio. Parenti che ti scrivono preoccupati, pensieri tipo rivedrò la mia famiglia, riabbraccerò i miei cari?».

“Ci salviamo tutti insieme”. «Se la casa Italia brucia, tutti insieme tenteremo di spegnere il fuoco, se la barca Italia rischia di affondare, o ci salviamo tutti insieme o affondiamo tutti insieme. Questo per me è essere una comunità. Questo maledetto virus sarà sconfitto, porterà via tanti cari, ma sarà sconfitto eccome. Dopo mi auguro che ci vorremo bene più del normale, non ci soffermeremo più sulla pigmentazione, ma sui valori che fanno di noi degli esseri umani. Forza ragazzi, è dura ma ce la faremo. Rispettiamo le regole, smettiamo di fare i finti furbi e confiniamo questo maledetto virus per poter ritrovare il calore umano di sempre. Un abbraccio virtuale a tutti!»

Per leggere tutto l’articolo clicca qui: Repubblica

Uso della lingua

Mollare: v. tr. fam. cedere, smettere, dare forfait, arrendersi, desistere, gettare la spugna
CONTRARI resistere, perseverare, insistere, persistere.

Spunti per la riflessione

Idrissa usa questo verbo ripetutamente. Mollare o non mollare in questi 14 anni di vita in Italia è  stato un interrogativo che si è posto spesso.

Quando la gente gli diceva “torna al tuo Paese”, “l’Italia agli italiani”, “non esistono neri italiani”, “portate malattie” Idrissa avrebbe voluto  desistere,  arrendersi …”mollare”.

Ma ora che “la barca Italia rischia di affondare, o ci salviamo tutti insieme o affondiamo tutti insieme”. Ora non Idrissa non vuole “mollare” vuole RESISTERE insieme agli altri italiani.
Lui non lo è ancora ma suo figlio è un nuovo italiano.

L’augurio con cui Idrissa conclude il suo  post deve fare riflettere.
Sarebbe bello sapere a un anno da ora che cosa è successo a Idrissa e al suo  bimbo italiano.
L’Italia sarà davvero cambiata? Li avrà accolti?

 

 

 

 

 

 

 

Censis, italiani incollati agli smartphone: primo e ultimo gesto della giornata

Censis, italiani incollati agli smartphone: primo e ultimo gesto della giornata

 

“Toglietemi tutto, ma non il mio smartphone”, si potrebbe dire parafrasando il noto spot pubblicitario. Ma a vedere – nero su bianco – i numeri del rapporto tra italiani e cellulare, un poco ancora si sobbalza.Secondo il 53esimo Rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese, oltre la metà (il 50,9%) controlla il telefono come primo gesto al mattino o l’ultima attività della sera prima di andare a dormire. Dati che testimoniano come la diffusione su larga scala dei telefonini ‘intelligenti’ nell’arco di dieci anni abbia finito con il plasmare i nostri desideri e i nostri abitudini. Nel 2018 il numero dei cellulari ha superato quello delle tv: in ogni famiglia ci sono in media 4,6 dispositivi mobili. In particolare, nelle case degli italiani ci sono 43,6 milioni di smartphone e 42,3 milioni di televisori.

… I famosi “cervelli in fuga”. Tra il 2013 e il 2017 è aumentato molto non solo il numero di laureati trasferiti all’estero (+41,8%), ma anche quello dei diplomati (+32,9%). Tra il 2008 e il 2017 i saldi con l’estero di giovani 20-34enni con titoli di studio medio-alti sono negativi in tutte le regioni italiane. Quelle con il numero più elevato di giovani qualificati trasferiti all’estero sono Lombardia (-24.000), Sicilia (-13.000), Veneto (-12.000), Lazio (-11.000) e Campania (-10.000). Il Centro-Nord, soprattutto Lombardia ed Emilia Romagna, ha compensato queste perdite con il drenaggio di risorse umane dal Sud. Intanto l’Italia è via via più rimpicciolita e invecchiata: dal 2015 – quando è cominciata la flessione demografica, ed è stata una novità nella nostra storia – si contano 436.066 cittadini in meno, nonostante l’incremento di 241.066 stranieri residenti.

Repubblica

  • Spunti per la discussione
    È solo un nuovo costume degli italiani o anche voi che ci leggete da altri paesi, vi svegliate e addormentate guardando il vostro smartphone?
  • La “fuga dei cervelli” dall’Italia non è un problema nuovo. Che la maggior parte dei nuovi immigrati siamo giovani laureati non ci sorprende. Ma che proprio la Lombardia, la regione più ricca d’Italia, abbia il numero più elevato di giovani emigrati con alte qualifiche di studio ci sembra un dato molto interessante che varrebbe la pena discutere. (-24.000).
  • Il drenaggio di risorse del sud verso il nord, e soprattutto la Lombardia e l”Emilia Romagna è un’altro fenomeno interessante di questi anni, benché non nuovo.
  • Tra il 1955 e il 1963 un flusso notevole di persone scorre verso le città del centro-nord Italia, in particolare verso le metropoli di Milano, Torino e Genova, ai vertici del cosiddetto “triangolo industriale”. Questa manodopera disperata e a buon mercato giunge sui treni della speranza soprattutto dalla Puglia e dalla Sicilia . Che lavoro fanno gli emigranti al loro arrivo nelle città del nord o nella capitale? Soprattutto si impiegano nell’edilizia, un lavoro che richiedeva un numero consistente di operai per costruire i palazzoni nelle periferie metropolitane. (Fonte:https://italiaexpress.wordpress.com/2012/07/20/lemigrazione-italiana-interna-negli-anni-50-e-60/)
  • Perché la migrazione italiana degli anni ’50-’60  all’interno del paese è diversa da quella presente?

Informazioni utili

Noto spot pubblicitario: si riferisce alla pubblicità del Breil  vedi: https://www.youtube.com/watch?v=8V-j6mxXp1c
Instat:Istituto Nazionale di Statistica è nato nel 1926. È un ente pubblico di ricerca che si occupa di censimenti generali della popolazione, dei servizi e dell’industria.
L’Annuario statistico italiano offre di anno in anno un articolato ritratto dell’Italia e della sua evoluzione, favorendo una lettura integrata dei fenomeni in atto. Con il suo apparato di informazioni e metadati, l’Annuario costituisce per esperti, policy maker e cittadini un importante strumento per orientarsi all’interno dell’offerta di dati e fonti.
43,6 milioni di smartphone:  la popolazione italiana secondo il censimento del 2018 è di 60.359.546

Afroitaliani

LA PAROLA

Ogni settimana sull’Espresso un termine commentato da una grande firma
DI IGIABA SCEGO

Afroitaliani

Sono diventata afroitaliana di recente. Fino a pochi anni fa eravamo semplicemente alieni o, peggio, invisibili. La nostra pelle nera o marroncina non pervenuta.
Nessuno si era accorto che i migranti arrivati negli anni ’70 e anni ’80 avevano fatto dei figli e che quei figli riempivano le aule universitarie o erano alla ricerca di un lavoro. Poi cominciammo a essere, e fu già un progresso, generici “figli di migranti” o “seconde generazioni”.

Il termine è di uso recente, anzi recentissimo. Io l’ho sentito pronunciare solo otto anni fa. Un calco tratto da quella realtà afroamericana a cui tutti i figli di migranti di origine africana hanno guardato almeno una volta. Gli afroamericani erano il modello a cui guardare. E poi era facile definirsi “afroitaliani”: meno parole da usare, meno spiegazioni da dare. Un termine comodo che riassumeva i viaggi dei genitori e tutta la realtà diasporica che c’era dietro la propria famiglia. Ora si sente spesso parlare di afroitaliani.
Per leggere tutto l’articolo clicca qui: L’Espresso

Chi è DI IGIABA SCEGO

Igiaba Scego è nata in Italia da una famiglia di origini somale. Dopo la laurea in Letterature straniere presso la Sapienzadi Roma, ha svolto un dottorato di ricerca in Pedagogia all’Università di Roma Tre e si occupa di scrittura, giornalismo e di ricerca incentrata sul dialogo tra culture e la dimensione della transculturalità e della migrazione.

Collabora con molte riviste che si occupano di migrazioni e di culture e letterature africane tra cui «Latinoamerica», «Carta», «El Ghibli», «Migra» e con alcuni quotidiani come «la Repubblica», «il manifesto», «L’Unità» e «Internazionale».

 

«Mettiamo i nostri corpi sulle navi che salvano i migranti»

Lo scrittore Sandro Veronesi in una lettera aperta del 9 luglio sul Corriere della Sera diretta ad un altro famoso scrittore e giornalista, Roberto Saviano, lancia una sfida  ai personaggi più illustri della vita publica italiana, di mettere i propri corpi sulle navi dei migranti. Ecco uno stralcio della sua lettera.:

“Ci vorrebbe, per dire, il commissario Montalbano, che ha il doppio di spettatori di quanti elettori abbia avuto la Lega a marzo. (Tra l’altro, nel backstage della prossima stagione, che già circola in rete, sembrerebbe che lui, cioè non Luca Zingaretti, ma proprio Montalbano, il personaggio, sia già lì, in mezzo al mare, a braccia aperte). Sempre per dire, mi sono sentito di colpo molto più forte quando ho visto la fotografia di Totti con in mano la scritta #withrefugees dell’Unhcr: pensa se il corpo ce lo mettesse lui, pensa se su una di quelle navi ci fosse Totti. Il suo corpo su una di quelle navi farebbe capire a un sacco di persone come stanno le cose, più di mille parole. Sto sognando? Sto dicendo una sciocchezza? Checco Zalone. O Claudio Baglioni. O Federica Pellegrini. O Jovanotti. O Sofia Goggia. O Celentano. O Monica Bellucci che fa da interprete dal francese. O Chiara Ferragni che allatta. O Giorgio Armani che compie 84 anni. Sulla nave. Laggiù. In quel tratto di mare dove la gente viene lasciata morire per opportunismo, o far pressione su Malta, o su Macron. Ovviamente sto facendo nomi così, di getto, non sto convocando nessuno, non mi permetterei mai di farlo: dico solo, a te che sei perennemente convocato, che forse ora ci vorrebbe qualche persona veramente influente che ci metta il corpo” Per leggere tutta la lettera clicc QUI:Corriere.it

Roberto Saviano risponde a Sandro Veronesi dalle pagine di Repubblica.

Caro Sandro Veronesi, ti ringrazio per la tua lettera e per aver dedicato tempo e passione a ciò che sta succedendo. L’attenzione che mostri verso chi sta vivendo l’inferno in terra non è cosa scontata in tempi in cui si è tutti trincerati dietro steccati di paura. E il tuo mettere il corpo al centro di tutto non è vaneggiamento, perché di corpi si tratta. Sempre. Antonio Tabucchi fece dire al suo umanissimo e cattolico Pereira “io non credo nella resurrezione della carne”. Con questo voleva dire che il nostro momento è ora. È qui che dobbiamo essere, senza sperare che nell’aldilà avremo una seconda possibilità.
La tua, Sandro, era una lettera alta, che voleva parlare allo spirito, io mi calo invece sempre nella materialità e qui trovano i nostri percorsi un punto di congiungimento, nella fisicità della battaglia che deve contemplare i corpi a difesa dello Stato di Diritto. Chi oggi chiude i porti alle Ong ha già chiuso le porte agli italiani, li sta condannando alla peggiore delle povertà possibili, perché oltre alla povertà del corpo rischia di condannarli anche alla povertà dello spirito.

Caro Sandro, io ci sto, questa battaglia la combatto da anni e non ho alcuna paura di perdere perché sono certo di una cosa: saremo più grandi noi nella nostra sconfitta, che loro in questo barbaro trionfo.

Per leggere tutto l’articolo clicca qui: Repubblica

Nuovi flussi Sud-Nord

Volendo catalogarla proviamo a definirla «nuova emigrazione intellettuale», nuova perché ha caratteristiche profondamente diverse dalle ondate del passato che avevano ridisegnato l’Italia a partire dagli anni ‘60, intellettuale perché riguarda per la stragrande maggioranza laureandi e laureati. I flussi da Sud a Nord non sono certo una novità nella storia patria ma i numeri che circolano giustificano un allarme…

Chi studia il fenomeno delle vite mobili dei giovani meridionali segmenta in tre comparti i nuovi flussi Sud-Nord: i diplomati delle scuole medie superiori che scelgono di andare a studiare altrove, i laureati delle università meridionali che appena presa la pergamena [laurea, n.d.r.] volgono la prua nella stessa direzione e i pendolari a lungo raggio, residenti nelle regioni del Sud (magari solo per pagare una polizza auto più bassa) ma che di fatto vivono/lavorano a Nord.

Secondo l’economista Gianfranco Viesti, docente all’università di Bari un quarto degli studenti meridionali oggi si immatricola negli atenei del Centro-Nord…  «Se ne vanno gli studenti forti, quelli con il voto di diploma più alto, quelli che vengono dai licei e che hanno la famiglia con il miglior reddito». Dario Di Vico, Corriere della Sera.

Usi della lingua

volgono la prua: metafora derivata dal linguaggio marinaro, la prua è, infatti, la punta della nave. Qui significa, si dirigono. Probabilmente l’autore ha usato questa metafora per evitare la ripetizione, dirigersi/direzione. In italiano le ripetizioni sono considerate poco eleganti.

polizza auto: l’assicurazione sulla macchina. Al Sud di solito costa di meno.

‘Not in my name’, musulmani in piazza gridano forte: “Sconfiggiamo il cancro del terrorismo”

Not in my name

ROMA – “Nessuna guerra è santa. Non dobbiamo avere paura. Restiamo uniti per sconfiggere assieme il cancro del terrorismo”. Da Milano a Roma passando per Genova, tante voci e tanti slogan per esprimere il medesimo concetto: “L’Islam non è violenza, #notinmyname”. Dopo gli attacchi terroristici a Parigi e in Mali, le comunità islamiche italiane si sono riunite nella capitale e a Milano per rispondere alle violenze e alle stragi dopo i cortei di Palermo,Parma, Reggio Emilia e Lucca.
Repubblica

La nuova Italia tra i banchi di un mercato

Pesche italiane, basilico tailandese, riso basmati e carne halal, il mercato di Piazza Vittorio, proprio nel cuore di Roma è lo specchio di un Italia che cambia.
La varietà della merce sui banchi riflette la nuova multietnicita’ del paese “Il numero degli stranieri che risiedono legalmente nel paese è triplicato in dieci anni, arrivando a circa 4,3 milioni. E il paese deve affrontare il problema del razzismo. I calciatori di origini africane sono insultati durante le partite. Alla prima ministra nera del paese, Cécile Kyenge, hanno lanciato delle banane. E il mese scorso un ex ministro della Lega nord, Roberto Calderoli, ha detto che Kyenge gli ricordava un orango”.

Anche dopo anni di vita in Italia, l’ascesa sociale per gli immigrati, è ancora sconosciuta.  “La scrittrice Jhumpa Lahira, che vive a Roma, ha scritto sulla Repubblica che diversamente da quanto successo agli italoamericani con cui è cresciuta a Rhode Islands, e che hanno salito la scala sociale ed economica, i bangladesi che ha incontrato a Roma hanno fatto l’esperienza opposta. ‘Dicono che trovano difficile crearsi una nuova vita qui.

Internazionale

Note culturali
Piazza Vittorio: La piazza che ha ispirato questo articolo ha anche ispirato qualche anno fa il film L’orchestra di Piazza Vittorio, (http://www.orchestrapiazzavittorio.it/?page_id=19),  un film documentario che racconta il successo di un progetto musicale multietnico dettato dallo spirito di solidarietà, dalla  voglia di cambiamento, e dalla partecipazione civile e culturale, dei suoi ideatori. 

Roberto Saviano copertina dell’anno

La copertina dedicata a Roberto Saviano, autore di Gomorra è stata la più votata dai lettori di Vanityfair.it
Lo scrittore, che vive sotto scorta a causa delle sue denunce contro la criminalità organizzata  di stampo mafioso racconta perché ha accettato con entusiasmo l’invito a insegnare alla New York University, e come è stata l’esperienza – terminata poche settimane fa – di vivere per sei mesi a New York.

Saviano dice di capire Calvino quando scrive: “Io amo New York, e l’amore è cieco. ”Ma allo stesso tempo ammette  di non aver mai pensato  così tanto all’Italia come durante la sua vita a New York.   Il down­town è pieno  di un’Italia che è scap­pata dall’Italia nel corso di due sec­oli, cre­dendo di trovare in Amer­ica strade las­tri­cate d’oro, ma che ben presto si accorse che  che “non solo le strade non erano las­tri­cate d’oro, ma che erano pro­prio loro quelli che dove­vano las­tri­care quelle strade”.
Italia a New York  vuol dire tre cose: moda (ele­ganza e design), cul­tura culi­naria e mafia. Gli italoamer­i­cani dicono che non ne pos­sono più di sen­tir par­lare di mafia, sem­pre asso­ci­ata ai loro cog­nomi, alle loro facce, alla loro cul­tura. Ma, secondo Saviano,  è un errore, pen­sare che i Soprano dif­famino la comu­nità italoamer­i­cana. “La nos­tra forza sta pro­prio nel rac­con­tare un fenom­eno che in Italia è forse più antico e potente che nel resto del mondo e poterlo denun­ciare. E poterlo inseg­nare. Non si risponde alla diffamazione che c’è, che è reale, con l’omertà, ma rac­con­tando.

Vanity Fair.it

Uso della lingua 
di stampo: di tipo.

omertà: codice d’onore o codice del silenzio, in vigore nelle comunita’ italiane controllate dalla mafia e esportato oltre oceano nelle comunita’ italo-americane.

I Rom di via Rubattino. Una scuola di solidarietà (Libroteca Paoline), è un libro che racconta «la straordinaria avventura di incontro, solidarietà, amicizia tra un quartiere di Milano e una comunità Rom. Tutto ha avuto inizio con fatto inusuale, l’iscrizione a scuola di 36 bambini del campo nomadi di Via Rubattino da parte della Comunità di Sant’Egidio. La scuola si è rivelata così il primo luogo di un’integrazione, non facile, ma possibile».  Dal libro emergono due fatti importanti. In primo luogo un nuovo atteggiamento dei cittadini di Milano nei confronti dei rom. La reazione alle ingiustizie sui rom ha messo in luce l’esistenza di un desiderio di rispetto, di cooperazione e solidarietà. In secondo luogo questa esperienza ha confermato l’importanza della scolarizzazione dei bambini rom, via maestra per l’integrazione responsabile e positiva di una minoranza tenuta fino ad oggi ai margini della società. Purtroppo, osservano gli autori del libro, tutti si scandalizzano di fronte alla violazione dei diritti dei bambini  a patto che non si tratti di bambini rom, non ancora considerati bambini a tutti gli effetti, con gli stessi diritti, ma anche con la stessa sensibilità, continuamente violata nel silenzio generale.
Altri link interessanti sull’argomento dei diritti dei bambini immigrati in Italia:

Uso della lingua

Rom: nella lingua dei Rom significa “uomo” o “marito”. Il plurale di rom è “roma”. Il termine è usato anche per identificare il gruppo etnico. I Rom sono anche chiamati in italiano zingari o gitani.
A patto che: purche’, a condizione che (provided that).
A tutti gli effetti: al cento per cento, completamente ( fully-fledged).